E’ la fine di luglio. Sto andando da Bianca e Fausta Cantarano per visitare la casa di Suso, vicino Sezze dove Ugo e Maria hanno trascorso le estati durante l’infanzia. Un eurostar mi porta in un soffio da Firenze a Roma mentre per andare a Latina prendo un intercity, uno di quei treni con gli scompartimenti e la ''passerella lato corridoio'' che credevo non venissero più utilizzati. Fa molto caldo. Qui l'aria condizionata è un optional come d'altronde la puntualità. Il treno parte con mezz’ora di ritardo alla stessa ora in cui sarebbe dovuto arrivare a Latina. Mentre guardo scorrere la campagna romana penso a Ugo. Il 25 settembre 1917 stava percorrendo lo stesso tratto di treno, però in senso inverso. Prima di iniziare il suo periodo di addestramento presso la Scuola Militare di Caserta aveva deciso di andare a Roma a trovare la Zia Caterina. A ricordo della gita aveva inviato alla famiglia una cartolina in cui non era riportata l’immagine di un monumento dell'Urbe bensì un uomo intento a trasportare due cavalli attraverso un lago. In basso a destra un verso tratto dal Canto del Leopardi ''La vita Solitaria'' . Ugo conosceva bene quelle poesie e ne portava sempre con sé un'edizione tascabile che, nel 1912, il padre gli aveva regalato.
Mi squilla il cellulare. E' Fausta. La nonna di Fausta, Bianca era sorella di Domenico, papà di Ugo. Mi ha perso. Le dico di non preoccuparsi, fra poco sarò a Latina. Quando arrivo Fausta e la sorella Bianca mi stanno aspettando lungo il binario. Le riconosco subito: si sbracciano, mi vengono incontro, sono molto affettuose. Hanno qualcosa di Maria, la sorella di Ugo e di Elda, mia madre: quell’aria signorile che permette loro di indossare qualunque cosa senza che nessuno le prenda mai per quello che non sono. Fausta ha la carnagione chiara, le labbra sottili, gli occhi e lo sguardo molto espressivi. Bianca ha l’aria dolce ma nel contempo decisa. Più piccola di statura della sorella ha una capigliatura nera, folta. Scoprirò poi che Fausta ha un animo vulcanico mentre Bianca è l’orologio di casa. Saliamo in macchina. Fausta guida con le mani esperte di chi ha sempre posseduto macchine di piccola cilindrata ma di ottima marca. Nel caso specifico ora guida una Lancia. Allungo le gambe in avanti. L’aria condizionata mi arriva al volto. E’ piacevole. Le mie nuove amiche parlano fra loro. Stanno decidendo dove andare a mangiare. Capisco subito che opporsi è inutile: per tre giorni sarò loro ostaggio. Fausta mi porge dell’acqua e mi chiede notizie del viaggio. Tutto bene dico senza aggiungere altro. Mi sento a casa, so che mi posso rilassare.
Superata Latina, percorriamo la via Appia attraverso la pianura pontina. ''L'Agro era un'area paludosa e malsana, quindi poco popolata dall'uomo, ma ricchissima di vita animale e vegetale” inizia a dirmi Fausta con l’aria esperta di chi per quarant’anni ha svolto il mestiere di insegnante. “Tra gli insetti la temutissima zanzara” e lo dice così bene che mi sembra di vederla lì davanti agli occhi. Chiacchieriamo di tante cose finchè Fausta mi indica in lontananza. ''Lo vedi? Lassù c'è Sezze". Mi dice Bianca mostrandomi un paese arroccato su una montagna. Sezze è un paese di origini molto antiche come pure Priverno e Bassiano, i paesi ad esso confinanti A Bassiano nacque nel 1868 Domenico Marcangeli e, due anni dopo, la sorella Caterina. Qui il padre Augusto, nonno di Ugo, medico chirurgo, ebbe la sua prima condotta. Fu anche rapito dai briganti locali per curare un malvivente che pare rimase soddisfatto del Dott. Marcangeli al punto da non sacrificargli la vita ma, al contrario, concedergli la sua protezione. A Priverno (chiamata in passato Piperno) nacque invece il 1 dicembre 1899 alle ore 4 e 30 Ugo, Augusto, Enrico, così venne registrato all'anagrafe.
Arrivati a Sezze decidiamo di andare direttamente a Suso, ma Bianca vuole prima che assaggi le specialità della zona. In un forno dove mi accorgo subito che scegliere sarà davvero difficile una gentile commessa ci mostra una serie di invitanti dolcetti. Bianca decide anche per me e compra le crostatine con le visciole una piccola ciliegia dal sapore asprigno da sempre utilizzata nella zona per fare marmellate. Ne assaggio una ancora calda. E’ buonissima. Da queste parti il cibo è molto importante e mangiare male è davvero difficile.
Una volta in macchina il profumo delle crostatine ha ormai invaso l'abitacolo. Vorrei avere il coraggio di allungare una mano verso le mie accompagnatrici. Peccato che Fausta e Bianca sembrino molto più interessate a spiegarmi tutto del luogo dove ci stiamo recando.
"Suso è la campagna residenziale di Sezze" inizia Fausta "E si estende dal paese in un ampia pianura senza soluzione di continuità. Qui a partire dal 1600 si trovavano le ville dei nobili setini. Nei primi dell'800 queste ville vennero acquistate dai notabili del paese (medici, avvocati, notai) i quali, nei mesi estivi, vi si trasferivano con le rispettive famiglie. Avevano le terre coltivate e facevano il vino, l'olio e molte altre cose. Ora molte di queste antiche costruzioni sono state vendute e si è dato luogo a una selvaggia lottizzazione". In effetti intorno a me vedo solo un gran numero di villette con degli ampi e ben coltivati giardinetti e mi sembra tutto molto curato e, parecchio bello, però non dico nulla per paura di suscitare l'ira delle sorelle Cantarano.
Superata una distesa di prati ecco sulla sinistra apparire la Villa. All’ingresso riconosco subito il grande cancello in ferro battuto che ho visto in molte fotografie. Dopo aver aperto un lucchetto troppo piccolo per un cancello così imponente ci immettiamo in un ampio viale bordato da una siepe dietro cui si innalza una fila di alberi. “Li vedi quei campi riarsi dal sole oltre la siepe?” dice Fausta indicandoli col dito. “In passato ai lati del viale vi erano vigne e alberi da frutta Oggi non è rimasto più nulla.” Ricordo di aver visto delle foto della mamma da piccola. Sullo sfondo c’era una vigna ma non mi ha mai detto dove si trovasse. Arrivati davanti alla casa alzo gli occhi verso la facciata. Mi sembra diversa dalle fotografie che ho già visto. “E’ stata restaurata negli anni ‘50’ mi dice Bianca mostrandomi i più evidenti cambiamenti.“Cadeva a pezzi.” “Mi sembra restaurata un po’ troppo”, osservo io. “Sì, ha perso l’aspetto di casa di campagna che aveva un tempo.” Mi guardo intorno. Il cielo azzurro si scontra col verde della campagna. Il paesaggio è bellissimo. Qualunque bambino sarebbe stato felice qui. Ho già visto le foto del giardino. Mi accorgo però che anche qui molte cose non sono più come una volta. Davanti alla casa non vedo la pergola sotto la quale mangiavano fino a venti persone. Il forno in mezzo al campo, la fontana, il pozzo sono ancora lì tuttavia non ha più quell’aria vissuta che aveva un tempo.
Augusto, il padre di Domenico, nonno di Ugo, l’aveva sistemata molto lentamente acquistando le terre che la circondavano pezzo per pezzo. Alla sua morte, nel 1905, la casa era passata ai figli. Nel 1921 questi la cedettero alla sorella Bianca.
Fa molto caldo e decidiamo di entrare.
“L'ingresso principale è nella stessa posizione di quello come pure le finestre”. Un raggio di sole crea un cono di luce che illumina parte del pavimento.
“Prima era diversa. Dal salone si affacciavano una serie di stanze. Ora c’è solo un grande salone, un bagno e la cucina”. Mi dice Fausta e sembra quasi scusarsi. Mi colpisce un bel lampadario in ottone e coppe in ceramica dipinte.
"Prima era ad acetilene", mi dice Fausta, "Poi, intorno al 1912, venne trasformato ad energia elettrica. La zona di Sezze fu una delle prima a ricevere la corrente, grazie all’influsso della capitale." La casa è molto bella e ho l’impressione che, in passato dovesse esserlo ancora di più. Al piano di sopra ci sono tre grandi camere da letto. Sono ancora arredate con quei mobili di inizio secolo, con gli armadi a tre ante, il comò e i comodini con la lastra di marmo e i lampadari in ottone. Una solidità tutta borghese, senza fronzoli o inutili orpelli. Tornate al pianterreno ci sediamo su due comodi divani dove gustiamo le crostatine alle visciole accompagnate da un fresco tè alla menta.
Guardiamo assieme le foto del libro di zio Ugo che ho messo sul computer. Agosto – settembre 1909 la casa di Suso si vede in lontananza. I personaggi sono sempre gli stessi, notabili del paese, parenti, Ugo, Maria e l’immancabile cane. Gli uomini hanno i fucili in spalla. Sono stati o stanno per andare a caccia. Le donne non ci sono mai. Sono rimaste a casa a sfaccendare con la servitù. La campagna che osservo è diversa da quella che vedo intorno a noi. C’è una foto datata Aprile 1913. Fausta mi ha detto che è stata scattata a Suso. E’ una delle poche in cui oltre a Ugo e Maria appare anche Domenico con in mano la sua inseparabile macchina fotografica modello a soffietto. Maria, in posa, come sempre è impeccabile. Indossa una gonna a quadretti, a pieghe, un giubbino in tinta unita corto sagomato in vita, un magnifico cappello a larghe tese con un fiocco. Fra le braccia stringe un mazzo di fiori di campo. Ugo ha i pantaloni al ginocchio l’immancabile giacchetta a doppio petto sempre rigorosamente chiusa, la camicia a giro collo come indossava sempre il padre. Sono belli, giovani, ignari del loro terribile destino, figli di un secolo che a loro chiederà tutto.
Sono stanca e chiudo un attimo gli occhi. Ricordo di avere una foto in un album a casa. Ritrae Maria assieme alle tre cugine, le figlie di Bianca, sorella di Domenico. E’ datata 1930. Le quattro donne sono sdraiate sull’erba. Sorridono. Sullo sfondo si vede la casa. Maria è ormai sposata da quattro anni, e ha una figlia di tre, mia madre a cui ha dato il nome di una delle cugine Elda. La sua vita è tornata serena. Non sa ancora che di lì a nove anni le moriranno il padre, la madre e il marito che la lascerà vedova e povera a Bari con tre figli. La voglio ricordare come è ritratta in quella foto: a ventinove anni, con alle spalle la casa della sua infanzia, sorridente e illusa che nessun'altra tragedia come quella della morte di Ugo, l'avrebbe mai più colpita.
A PRANZO DA SANTUCCIO A SUSO
Lasciamo la casa per recarci a mangiare. E’ tardi ho una gran fame e vorrei assaggiare le specialità della zona. Fausta mi dice di conoscere il posto giusto, è di proprietà di un suo conoscente, che fa il ristoratore da molti anni. Il posto è bello. Piante di querce creano un manto tutto verde e, respirando due tre volte, si accusa un'overdose di ossigeno puro. Leggiamo l'insegna "Da Santuccio". Entriamo. Le pareti sono tappezzate di brandelli di tempo immortalato in stampe, foto bianco nero che ricordano la vecchia Sezze e la campagna di Suso. Fausta mi presenta come una sua “nuova parente”. Ci diamo subito del tu, non si può fare a meno di rimanere intrappolati nella cordiale accoglienza di un’ospitalità dal sapore antico vanto degli abitanti di questi luoghi.
Il proprietario ci tiene a dirmi che qui si cucinano solo cibi casarecci preparati in modo semplice e con amore. Le verdure e i legumi sono tutti dell’orto e i primi sono fatti solo con la pasta fatta in casa. La carne, rigorosamente alla brace, è accompagnata da vini di qualità scelti con cura dai proprietari. I dolci poi…. Decido di non guardare il menù e di affidarmi agli esperti locali. Per antipasto ecco arrivare le prelibate mozzarelle delle bufale. Fausta mi racconta che, prima che venisse meccanizzata la munigitura le bufale avevano un nome quando le chiamavi rispondevano come i cani. Oggi la Mozzarella di Bufala è esportata e conosciuta in tutto il mondo ed è ormai un simbolo della cultura gastronomica della zona. Assieme ci portano le melanzane e i peperoni arrostiti e un piatto di prosciutto dall’aspetto invitante. “A Natale nonna Bianca comprava le carni fresche di suino le preparava salandole e le metteva sotto il peso in modo che uscisse il sangue. Poi venivano appesi in cantina al freddo e in estate erano pronti per essere mangiati. Non ho più assaggiato un prosciutto così buono” mi raccontano Bianca e Fausta. La nostra tavola è un trionfo di colori e profumi da cui mi lascio incantare. Mia madre cucinava cose del genere anche se i sapori e i profumi delle nostre verdure erano diversi. Leggo a una parete la dedica di un cliente “Questo non è un solo e semplice ristorante nel senso stretto di ristoro. E’ un posto, un posto dell'anima….' arrivandoci di giorno ha un suo fascino, un bagno nell'energia, di notte con la luna è uno spettacolo da conservare come una frame preziosa, un posto magico.”
Una gentile signorina con un grembiulino rosa e gli occhi azzurri come il cielo che ho di fronte ci lascia sul tavolo la zuppa di pane con i fagioli una vera prelibatezza di queste parti. “Questo è il tipico piatto di cui i nostri nonni si nutrivano e di cui erano tanto fieri” dice Fausta. “Tutti ne mangiavano, sia ricchi che poveri, ma per questi era il vero sostentamento. I fagioli erano considerati la carne dei poveri. Guarda” mi dice mostrandomi la corteccia croccante di un pane ancora caldo “Per farla si usa il famoso pane di Sezze che, una volta raffermo, diventa speciale per la preparazione di zuppe di fagioli, lenticchie, cicerchie.” Comincio a sbadigliare, oltre ad essere stanca ho la pancia troppo piena. “Nell’orto di Suso spettava ai bambini raccogliere i legumi e io e Bianca stavamo per ore in cucina a sgranare i fagioli assieme alla nonna Bianca.” La zuppa è bollente e ha l’aroma del rosmarino. Nell’attesa che si freddi mi guardo un po’ intorno. Una coppia vicino a noi sta mangiando un piatto che profuma di cipolla. Domando cosa sia. “Quella è la “Bazzoffia (ovvero: accontenta cornuti)’’, mi dice Bianca con la voce dolce e leggermente roca che le mogli che non stavano a casa, perché occupate con i propri amanti, inventarono un piatto semplice e sbrigativo composto di verdure che si cuocevano in fretta (zucchine, lattuga, cipolle, fave, carciofi e piselli e un uovo intero), così il marito al ritorno dal lavoro trovava sempre il pranzo pronto e non sospettava delle mogli.” Mi metto a ridere e trovo l’idea davvero divertente. Mi sento già piena ma so che sarei sgarbata se non assaggiassi la carne alla brace e poi i carciofi. “Guarda”, mi dice il proprietario mostrandomene uno “i carciofi romani sono piccoli, tondi e hanno un colore verde-grigiastro ma soprattutto hanno un gusto dolce e ferroso”. Si lo ricordo bene, mia madre era ghiotta di carciofi. "In questa zona i carciofi crescono dappertutto. Ci sono anche quelli selvatici nei prati e danno fiori bellissimi”. Sono stanca, ripiena come un otre, ricolma di ricordi veri, immaginati, sognati a occhi aperti, sto affondando le mani nelle mie radici e sorrido con gli occhi che credevo essere dei Marangio e invece sono uguali a quelli di Ugo e della madre di lui Amalia.
Alla fine del pasto, anche se sono ubriaca dai molti sapori e dal vino, non intendo rifiutare il dolce. Ed ecco arrivare dei fantastici dolcetti preparati con la pasta di mandorle che sgranocchio con piacere accompagnata da un liquore dolce prodotto dalla casa che assomiglia al vin santo toscano. Ci alziamo dopo aver sorseggiato un forte caffè, stracotte a puntino ma molto soddisfatte. Una vecchia signora dal volto rugoso che parla il gergo incomprensibile dei Monti Lepini ci accoglie alla cassa. E’ la madre del proprietario che ancora offre i suoi servigi in cucina. Fausta se la ricorda, giovane e pimpante. Noto le mani ruvide e callose di chi, fin dalla tenera età, ha lavorato in cucina. Salutati tutti rimontiamo in macchina. Che giornata e non è ancora finita!